A come autunno III

“Fregene, ottobre ’57. Come sono belle queste giornate deserte al mare, come si riprende contatto con il tempo e ci si lascia andare al dolce abbandono dell’autunno limpido! Stamane il giornale annuncia che i russi hanno lanciato un satellite nello spazio. Pesa 83 chilogrammi, vola a 900 chilometri d’altezza e a 30.000 chilometri l’ora. Passerà anche su Roma, forse è già passato. Consideriamo il prodigio come una vittoria dell’Uomo. “Siamo già nel futuro,” dico a tavola” pensa come sarà contento Galileo.” Mia moglie osserva: “Perché ti fai sempre tante macchie?” Dopo pranzo decidiamo di far mettere una lampada a gas di neon nell’orto, perché ora fa buio presto e la notte immalinconisce, me è in questa solitudine che si rafforza il carattere, d’altro canto. […]

I giornali della sera parlano del satellite, alcuni col tono confidenziale  che la stampa riserva solitamente a Filippo (il Duca di Edimburgo), a Ike (il Presidente degli Stati Uniti), e alle nostre attrici. Verso il 1980 l’uomo andrà nel cosmo, appena avremo costruito le stazioni spaziali. La luna appare più tardi, enorme e piena, sopra la macchia scura del bosco, con qualcosa di realmente stupefatto nel suo faccione, che forse vi aggiunge la nostra fantasia. Guardiamo il cielo, forse potremmo vedere l’altra Luna passare veloce. A letto, prendo a caso l’Alcyone di D’Annunzio e rileggo i Madrigali per l’estate. “Come scorrea la calda sabbia lieve/ per entro il cavo della mano in ozio/ il cor sentì che il giorno era più breve…” Com’è vero! Ho provato questa sensazione di languida nostalgia per l’estate che se ne va. E ora l’autunno…” Ennio Flaiano su Il Mondo, 29.10.1957

G come gezellig e grazie

gezellig

“Aggettivo, olandese. Molto più che accogliente o piacevole: descrive il senso di intimità, calda e rigenerante, non necessariamente fisica, che si prova stando con le persone care.”

“Chiedete a qualsiasi olandese e vi parlerà del gezellig. Rappresenta la loro cultura ospitale, amichevole, e include tutto ciò che fa sentire davvero accolti, come un’atmosfera familiare, una bella conversazione, gli abbracci.” da Lost in translation di Ella Frances Sanders

Ho la fortuna di avere molte persone che mi fanno provare questa bellissima sensazione…alcune anche stando a parecchi chilometri di distanza! Grazie.

P come povertà

“Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”.

Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.

Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l’olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l’uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi. Tutto il nostro paese, che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà.” dall’articolo Il rimedio è la povertà di Goffredo Parise, 1974.

Riletto in Globalist 2.0

M come merda

Le cose belle crescono dalla merda. Nessuno ci crede. Tutti pensano che  Beethoven avesse i suoi quartetti d’archi già completi nella sua testa – e che l’unica cosa che dovesse fare fosse di trascriverli e poi si sarebbero manifestati al mondo. Ma quello che penso è così interessante, e potrebbe essere una lezione che tutti dovrebbero imparare, ed è che le cose nascono dal niente. Le cose si evolvono dal niente. Sapete, il più piccolo seme nella giusta situazione si trasforma nella più bella foresta. E il seme più promettente nella situazione sbagliata si trasforma in niente. Penso che questo possa essere importante per le persone da capire, perché sapere come le cose funzionano dà loro la fiducia nelle proprie vite.

Se girate intorno all’idea che ci sono alcune persone che sono così dotate – che hanno cose meravigliose nella loro mente e voi non siete una di quelle, ma che siete solo una persona normale, non potrete mai fare niente del genere – e vivrete un diverso tipo di vita. Voi potreste avere un altro tipo di vita quando potrete dire, bene, io so che questo genere di cose viene fuori dal niente, comincia con un inizio poco promettente, e io potrei cominciare qualcosa.

T come tesoro

“Strano: quando pronunciamo una parola la cosa che indica si svuota del suo valore. Siamo convinti di esserci immersi nel fondo di un abisso, ma quando torniamo in superficie la goccia d’acqua che resta sulla punta delle nostre dita pallide non assomiglia al mare da cui proviene. Crediamo di avere scoperto una grotta piena di tesori meravigliosi e quando torniamo alla luce del giorno abbiamo in mano solo pietre false e pezzetti di vetro; e tuttavia il tesoro continua a brillare, immutato, nell’oscurità.” Maurice Maeterlinck

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Jon J Muth

S come sorriso

“Ci sono giornate che cominciano bene, senza un motivo, e altre che cominciano male. Quella cominciava bene. Maria era di buonumore e nel servire il caffè sorrideva esibendo una fila di denti bianchissimi.[…]Quando era allegra, il suo sorriso illuminava l’intero appartamento e la sentivano cantare e ridere in cucina da sola per ore.” da I clienti di Avrenos di Georges Simenon