V come vita

E’ stato molto difficile scegliere la parola e la lettera con cui ‘classificare’ il lavoro di quest’uomo che conobbi tanti anni fa. Un lavoro che apprezzo moltissimo, perché le sue immagini sono oneste, pulite, vere, profonde ed estremamente belle.

Ho scelto la V di vita perché nelle sue numerose  e splendide foto pulsa in tutta la sua bellezza e in tutta la sua brutalità la vita, anche quando rappresentata è la morte.

Ed è stato altrettanto difficile scegliere solo alcune  tra le tante immagini che ritraggono aspetti così diversi della vita: ogni storia che raccontata è preziosa. Per questo vi invito a vedere e leggere le tante storie sul suo sito: christiantragni.com

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Brasile, Amazzonia, stato del Parˆ. Ottobre 2007 Carcere di Santarem per gli appartenenti alle gang, problema dei piccoli centri dell’Amazzonia. Quasi tutti hanno commesso degli omicidi. Foto Christian Tragni

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Santarem, Brazil: prisoners

 

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Brazil, Belo Horizonte, Vespasiano. The detention center for women with children younger than one year- Photo: Christian Tragni

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Brazil, Sao Paulo, October 2009 I spent fifteen nights with a team of journalism in S‹o Paulo documenting the events during the night. In the photo, the place where five people were killed by gunmen on the facts relating to drugs Photo Christian Tragni

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Lydia

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Brazil, San Paulo. Craccolandia: People using crack in the street, center of the city. Photo: Christian Tragni

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Nicaraguan workers in Costa Rica

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The cemetery Dom Bosco, in Peru, where are sepellite people unnamed and without document or with document, but unclaimed by relatives or someone within 72 hours. People are buried naked, with an open chest, a number written directly on the skin and in a common grave. The cemetery is the same place where in the years of the dictatorship were hidden more than three thousand bodies of people against the regime by military coup

 

cemetery for the nameless and unclaimed

 

cemetery for the nameless and unclaimed

V come vestaglia

“Il giorno in cui la mia vita sarebbe tanto cambiata, andai a Londra con il treno delle 9.07. Avevo intenzione di fare un po’ d’acquisti; qualcuno mi aveva parlato di certe vestaglie cinesi in saldo, perfette per cenare in casa perché coprivano tutto. Avrei anche visto quel birbante di mio figlio, Basil, che mi dava tante preoccupazioni; zia Sadie mi aveva chiesto di andare a trovare zio Matthew, e in effetti era tempo che volevo parlargli di una cosa. Avevo appuntamento con il primo per il pranzo e con il secondo per il tè. era sabato: la mezza giornata di riposo di Basil, che stava preparando l’esame del Foreign Office. Dovevamo incontrarci in un ristorante e poi andare a casa sua, in quelle che una volta chiamavano ‘stanze d’affitto’ e ora si chiamano ‘residence’. Il mio proposito era dare una rassettatina, senza dubbio necessaria, e raccogliere un po’ di panni sporchi da far lavare ad acqua o a secco. Avevo con me una grande sacca di tela dove mettere i panni e la vestaglia cinese, casomai l’avessi comprata.

Purtroppo in camerino avevo un’aria proprio ridicola con quella vestaglia cinese, le scarpe da passeggio marroni che spuntavano enormi da sotto l’orlo, la pettinatura rovinata dal cappello e la borsa di cuoio stretta al seno, perché conteneva ventotto sterline e sapevo che durante i saldi la gente rubava. La commessa mi suggerì, sollecita, di pensare a come sarebbe stato diverso se fossi stata ben coiffée e maquilléè e parfumée e manicurée e pedicurée, con un paio di sandali cinesi (reparto successivo, trentacinque scellini e sei penny), sdraiata su un divano in una luce soffusa. Tuttavia non servì a nulla: la mia immaginazione non  riusciva a lavorare su tutte quelle ipotesi. Accaldata e irritata, mi strappai di dosso la vestaglia e fuggii dal disappunto della commessa.” da Non dirlo ad Alfred di Nancy Mitford

Shanghai-Express-Dietrich-smoking-in-kimono

V come viola da gamba

“E’ veramente un momento miracoloso quando si sente di avre trovato il proprio cammino, il proprio essere Sé. Mark Twain ha ragione quando afferma, “ci sono due date importanti nella vita di un essere umano, una nel momento della propria nascita e l’altra nell’istante in cui scopre perché è nato.”, perché a partire da quel momento la vita diventa una tra le esperienze più meravigliose e stimolanti. […] Fare musica è cercare e sviluppare una certa forma di vita…una vita che non potrà sbocciare che nella ricerca e nella condivisione della bellezza e della felicità.

Questo mi ricorda le “fragole selvatiche” della bella storia zen che segue: « Un uomo passeggiava tranquillamente nella foresta finché vide apparire una tigre che cominciò a seguirlo. Si mise a correre e arrivò ad un precipizio nel quale cominciò a scendere; pensava di essersi salvato, ma guardando in fondo al precipizio, vide un’altra tigre ad aspettarlo. Si fermò non sapendo più che fare. Ad un tratto vide delle fragole selvatiche vicino a lui, le raccolse e si mise a mangiarle dicendo: ‘Come sono buone, queste fragole selvatiche!’»

Le fragole selvatiche possono essere il lavoro che ci appassiona o qualunque cosa si decida di fare con voglia e concentrazione: cantare, lavorare in giardino, scrivere, scalare una montagna, suonare o ascoltare il Magnificat de J. S. Bach… è saper cercare la felicità in ciò che si fa, allora tutte le tigri – quelle che sono in noi e quelle che pensiamo fuori di noi – spariscono e allora, la vita diventa molto più bella.” Jordi Savall nel commento di presentazione al Magnificat di Bach (la traduzione dal francese è la mia, quindi è probabilmente non corretta!)

V come vita

Sgorgo

Per troppa vita che ho nel sangue
tremo
nel vasto inverno.

E all’improvviso,
come per una fonte che si scioglie
nella steppa,
una ferita che nel sonno
si riapre,

perdutamente nascono pensieri
nel deserto castello della notte.

Creatura di fiaba, per le mute
stanze, dove si struggono le lampade
dimenticate,
lieve trascorre una parola bianca:
si levano colombe sull’altana
come alla vista del mare.

Bontà, tu mi ritorni:
si stempera l’inverno nello sgorgo
del mio più puro sangue,
ancora il pianto ha dolcemente nome
perdono.

Antonia Pozzi, 1935